Intellettuali
e potere. Consiglio e compromissione. Osservazione e manipolazione.
Attrazione e fiero snobismo. Fascino e disgusto. Curiosità. Il
potere svelato fra le pagine di un libro; due esempi fra tutti:
Plutarco faceva rilucere i suoi medaglioni celebrativi, Svetonio si
intrufolava nelle camere segrete, ma non quelle delle decisioni
fatali. Così, nella patria dell’engagement
sartriano, madame
Yasmina Reza decide di insinuarsi – non senza cellulare e borsetta
del trucco – con il piglio fascinoso dell’affermata drammaturga
che ha riempito i teatri di Londra e New York, dietro le quinte
altrettanto fascinose del potere, alla ricerca di un mito antico: il
volto “vero” dell’uomo di stato.
E chi
prendere a oggetto di questo esperimento intellettuale se non un
personaggio che di parole ne ha già fatte pronunciare tante, Rayban
scuri alla Delon, taglia piccola alla Napoleone, cavalcate in
Provenza alla Belmondo, forse un po’ Asterix, giovane, piglio
deciso, piedi sul tavolo, tutoyement
facile, nessuna paura di prendere a calci nel didietro chi se lo
merita, francese non francese, come madame
Reza, ma la douce France
è un valore che si sposa e poi si porta al dito come una fede:
Nicolas Sarkozy.
E così la
signora offre pubblicamente le sue personali annotazioni
sull’evolversi dell’esperimento. Ha il teatro nel sangue, e si
sente: più che una narrazione è un susseguirsi di atti unici dalle
scenografie curate nei minimi dettagli, supportate da una mimica
facciale (della cavia, naturalmente) eccezionale, al termine dei
quali esplode in tutta la sua perentorietà la battuta rivelatrice.
“È proprio uno dei tuoi personaggi”, non può non lasciarsi
sfuggire un amico che ha goduto dell’anteprima della lettura.
Sì, madame
ce la mette tutta, madame
vuole innamorarsi, e lo confessi una buona
volta madame! C’è
dell’indimenticabile in queste pagine: «Nella cappella della
prigione, poco prima di andar via, sento questo scambio tra lui e
suor Anne. “La vita è pesante”. “Sì”. “Non solo in
prigione, sorella la vita è pesante”». Ma non è vero che le
donne affascinate sono cieche: «Alla sua destra, la ragazza bionda,
con la spallina abbassata, gli sussurra che lo sogna tutte le notti.
Senti, è davvero toccante (lasciando vagare la mano sulla schiena
della vicina…). Gli dico: cerca di comportarti meglio, Nicolas,
ricordati che vuoi diventare presidente della repubblica… Lui ride
con la sua risata da bambino, si accarezza la testa, un po’
confuso, la partenza è rinviata, la ragazza gli si incolla addosso,
lui beve un sorso di limoncello e dice: Questo è un posto magico,
stasera, tutto è magico». Forse la cavia è un po’ impertinente,
e anche un po’ ingrata: ha la possibilità di calcare le scene di
un dramma contemporaneo del tempo e della solitudine morale e
all’indomani della sua elezione si abbuffa di aragoste su uno
yacht.
Ed ecco che
non volendo si è tirato in ballo il secondo mito antico: il tempo.
Cos’è il tempo per questi uomini? Credono realmente nell’esistenza
di quel futuro su cui si proietta ciò che promettono? O non esiste
nulla di reale oltre il presente delle promesse stesse? Questi uomini
si muovono, si agitano, aspettano risultati, combattono schermaglie
di parole, fanno del movimento la loro ragion d’essere, e la
definizione intima del loro essere; e quando sono arrivati? I loro
scoppi d’ira e di impazienza durante la corsa sono indubbiamente
affascinanti; quanta veemenza, che speranza di novità, quale fascino
dell’alternativa alla sclerotizzazione delle forme! Ma alla fine ci
si ferma, e si presta il giuramento alla bandiera. Chissà cosa
pensarono i veterani d’Egitto di fronte al loro generale con manto
di zibellino. Per fortuna dopo c’è stata una Waterloo…
Arrivati
dunque alla fine qual è la conclusione di questo viaggio, madame
Reza? Nelle stanze dell’Eliseo, proprio lì,
nel cuore del cuore del potere, la donna intellettuale che sulla
scena ha dato voce alle angosce del tempo e dell’individuo chiede
una conversazione “vera”. Ma, madame
Reza, le conversazioni “vere” sbocciano spontaneamente di sera,
il tempo della malinconia, fra amici; o di notte, il tempo delle
lacrime, fra amanti. E lei non è mai andata oltre il tempo
dell’alba…
E allora
resta un dubbio: sarà mai possibile un ritratto nella penombra e nel
buio di queste figure i cui nomi, malgrado tutto, risuonano familiari
alle nostre orecchie? E appena formulato questo, se ne insinua un
altro, di dubbio: oggi come oggi, finite – ahimè, o forse per
fortuna – le epoche eroiche, esiste una sera e una notte dietro
quei volti? E ancora un altro dubbio: di cosa aver veramente paura di
fronte a Sarko? Di fronte “ai” Sarko? Forse del fatto che le loro
sere sono allegre e che la notte dormono bene.
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