giovedì 12 gennaio 2012

Recensio 01: Yasmina Reza, L'alba, la sera o la notte



Intellettuali e potere. Consiglio e compromissione. Osservazione e manipolazione. Attrazione e fiero snobismo. Fascino e disgusto. Curiosità. Il potere svelato fra le pagine di un libro; due esempi fra tutti: Plutarco faceva rilucere i suoi medaglioni celebrativi, Svetonio si intrufolava nelle camere segrete, ma non quelle delle decisioni fatali. Così, nella patria dell’engagement sartriano, madame Yasmina Reza decide di insinuarsi – non senza cellulare e borsetta del trucco – con il piglio fascinoso dell’affermata drammaturga che ha riempito i teatri di Londra e New York, dietro le quinte altrettanto fascinose del potere, alla ricerca di un mito antico: il volto “vero” dell’uomo di stato.
E chi prendere a oggetto di questo esperimento intellettuale se non un personaggio che di parole ne ha già fatte pronunciare tante, Rayban scuri alla Delon, taglia piccola alla Napoleone, cavalcate in Provenza alla Belmondo, forse un po’ Asterix, giovane, piglio deciso, piedi sul tavolo, tutoyement facile, nessuna paura di prendere a calci nel didietro chi se lo merita, francese non francese, come madame Reza, ma la douce France è un valore che si sposa e poi si porta al dito come una fede: Nicolas Sarkozy.
E così la signora offre pubblicamente le sue personali annotazioni sull’evolversi dell’esperimento. Ha il teatro nel sangue, e si sente: più che una narrazione è un susseguirsi di atti unici dalle scenografie curate nei minimi dettagli, supportate da una mimica facciale (della cavia, naturalmente) eccezionale, al termine dei quali esplode in tutta la sua perentorietà la battuta rivelatrice. “È proprio uno dei tuoi personaggi”, non può non lasciarsi sfuggire un amico che ha goduto dell’anteprima della lettura.
Sì, madame ce la mette tutta, madame vuole innamorarsi, e lo confessi una buona volta madame! C’è dell’indimenticabile in queste pagine: «Nella cappella della prigione, poco prima di andar via, sento questo scambio tra lui e suor Anne. “La vita è pesante”. “Sì”. “Non solo in prigione, sorella la vita è pesante”». Ma non è vero che le donne affascinate sono cieche: «Alla sua destra, la ragazza bionda, con la spallina abbassata, gli sussurra che lo sogna tutte le notti. Senti, è davvero toccante (lasciando vagare la mano sulla schiena della vicina…). Gli dico: cerca di comportarti meglio, Nicolas, ricordati che vuoi diventare presidente della repubblica… Lui ride con la sua risata da bambino, si accarezza la testa, un po’ confuso, la partenza è rinviata, la ragazza gli si incolla addosso, lui beve un sorso di limoncello e dice: Questo è un posto magico, stasera, tutto è magico». Forse la cavia è un po’ impertinente, e anche un po’ ingrata: ha la possibilità di calcare le scene di un dramma contemporaneo del tempo e della solitudine morale e all’indomani della sua elezione si abbuffa di aragoste su uno yacht.
Ed ecco che non volendo si è tirato in ballo il secondo mito antico: il tempo. Cos’è il tempo per questi uomini? Credono realmente nell’esistenza di quel futuro su cui si proietta ciò che promettono? O non esiste nulla di reale oltre il presente delle promesse stesse? Questi uomini si muovono, si agitano, aspettano risultati, combattono schermaglie di parole, fanno del movimento la loro ragion d’essere, e la definizione intima del loro essere; e quando sono arrivati? I loro scoppi d’ira e di impazienza durante la corsa sono indubbiamente affascinanti; quanta veemenza, che speranza di novità, quale fascino dell’alternativa alla sclerotizzazione delle forme! Ma alla fine ci si ferma, e si presta il giuramento alla bandiera. Chissà cosa pensarono i veterani d’Egitto di fronte al loro generale con manto di zibellino. Per fortuna dopo c’è stata una Waterloo…
Arrivati dunque alla fine qual è la conclusione di questo viaggio, madame Reza? Nelle stanze dell’Eliseo, proprio lì, nel cuore del cuore del potere, la donna intellettuale che sulla scena ha dato voce alle angosce del tempo e dell’individuo chiede una conversazione “vera”. Ma, madame Reza, le conversazioni “vere” sbocciano spontaneamente di sera, il tempo della malinconia, fra amici; o di notte, il tempo delle lacrime, fra amanti. E lei non è mai andata oltre il tempo dell’alba…
E allora resta un dubbio: sarà mai possibile un ritratto nella penombra e nel buio di queste figure i cui nomi, malgrado tutto, risuonano familiari alle nostre orecchie? E appena formulato questo, se ne insinua un altro, di dubbio: oggi come oggi, finite – ahimè, o forse per fortuna – le epoche eroiche, esiste una sera e una notte dietro quei volti? E ancora un altro dubbio: di cosa aver veramente paura di fronte a Sarko? Di fronte “ai” Sarko? Forse del fatto che le loro sere sono allegre e che la notte dormono bene.

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